sabato 23 novembre 2019

ALDO PALAZZESCHI E LA POETICA DEL DIVERTIMENTO di Eduardo Terrana


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ALDO PALAZZESCHI E LA POETICA DEL DIVERTIMENTO
di Eduardo Terrana

Aldo Palazzeschi, all'anagrafe Aldo Giurlani, nasce a Firenze nel 1885. Compie studi tecnici e si diploma Ragioniere. Frequenta da giovane una scuola di recitazione e per qualche tempo fa l'attore nella compagnia di Lida Borrelli, ma interrompe presto quell'esperienza che non fa per lui.
Prende la strada della narrativa e avvia i primi tentativi di scrittore con un certo successo, piace infatti quel tocco di humour che riesce a trasfondere nelle sue opere e che suscita l'ilarità spontanea del lettore e dell'ascoltatore.
Si accorge di lui Marinetti che tenta di valorizzarlo nel movimento futurista, ma è un breve percorso il loro.
Alla iniziale fervida adesione al Futurismo , per cui scrisse nel 1913 anche un personale manifesto " Il Controdolore", Palazzeschi decide di staccarsene non condividendone l'ideologia interventista e nazionalista, il fanatismo eversore, l'esasperato tecnicismo.
Si dedica quindi esclusivamente alla sua attività di narratore. Dopo la morte dei genitori trasferisce il domicilio a Roma.
Vive però gran parte della sua vita a Firenze, con brevi soggiorni a Venezia, Parigi e Roma, dove muore il 17 agosto del 1974.
Nel panorama del novecento poetico italiano la sua produzione è di notevole importanza ed occupa oltre un cinquantennio. Scrive in poesia ed in prosa.
Tra le opere poetiche ricordiamo:I Cavalli bianchi , il suo primo volume di versi del 1905; Poesie, dal 1904 al 1914; L'incendiario del 1910, Cuor mio del 1968, Via delle cento stelle, del 1972.
Opere di narrativa sono: Il codice di Perelà e I racconti di stampe dell'800, del 1932; Il palio dei buffi, del 1937; Il buffo integrale, del 1966; e i romanzi :
Le sorelle Materassi, del 1934; Roma del 1953; Il doge, del 1967; Stefanino del 1969, l’ultimo romanzo.
La prima stagione poetica di Palazzeschi è nel volume di “Poesie”, che raccoglie i componimenti che vanno dal 1904 al 1914.
Vi troviamo il temperamento d’uno scrittore - fantasista , inquieto e insodisfatto che si affida all’ironia pur non mortificando i sentimenti.
Non è diverso l’animo del poeta nella raccolta “Cuor Mio”, pur se ormai è trascorsa l’età bella della giovinezza e il poeta si ritrova ultraottantenne.
Il poeta ormai, come egli stesso scrive, “ creatosi una forma , resta prigioniero di quella cioè di se stesso”.
Non si ha pertanto traccia di nuove formule, o di nuove mode in “Cuor Mio”, ma più pacatamente il libero estro di una fantasia mossa dalle occasioni e dalle meditazioni, dalla nostalgia o dall’ironia, che resta sostanzialmente fedele a un’idea di poesia come libera invenzione della vita e della realtà, seppure attraverso lo strumento divertente e demistificante del linguaggio, e ciò lo aggrada, perché, come scrive Ferdinando Camon, gli appare, “ un mezzo disinfettante di quel tanto di falso e di poco intelligente che è nella vita quotidiana e nella nostra società”.
La prima giovanile esperienza poetica rivela un’ironia surreale , leggera ed arguta, che s’impone sulla malinconia, sulla nostalgia, e più che autocompianto si fa sberleffo.
In quest’ottica la poesia “Chi Sono?,tratta dal volumetto “Poemi” del 1909, ci presenta, ma solo in apparenza, un autoritratto in negativo del poeta, infatti egli in fondo è almeno il saltimbanco della sua anima.
Una felice testimonianza della poesia di Palazzeschi è la lirica Rio Bo”, dove, al di là
di certe caratterizzazioni crepuscolari, si scopre solo ed inconfondibilmente il poeta.
Una fondamentale costante della personalità e dell’arte di Palazzeschi è la vocazione al riso, al gioco estroso della fantasia.
Una vocazione già presente nel suo manifesto “ Il Controdolore “ dove si legge: “Bisogna abituarsi a ridere di tutto quello di cui abitualmente si piange, sviluppando la nostra profondità. L’uomo non può essere considerato seriamente che quando ride...Bisogna educare al riso i nostri figli, al riso più smodato, più insolente, al coraggio di ridere rumorosamente “.
Lo sberleffo e l’impertinenza, pertanto, sono alla base di molte delle liriche di Palazzeschi con una varietà notevole di soluzioni sperimentalistiche.
Nella lirica “Passeggiata” si coglie questo aspetto del poeta, seppur in chiave ancora futuristica.
Il poeta registra tutte le parole che legge durante una passeggiata. Dovunque si guardi sono solo insegne, cartelloni pubblicitari, numeri civici. Solo edifici e palazzi.
Solo muri su cui gli uomini lasciano il segno del loro spesso incivile passaggio.
Muri con parole che impediscono di vedere l’ambiente naturale, di sentirsi in contatto con esso e con la propria più autentica dimensione.
La vocazione al divertimento in Palazzeschi non è fine a se stessa, non si esaurisce nello sperimentalismo formale, non esclude infatti la malinconia, la nostalgia, l’affettuosa tenerezza, la pietà, che traspaiono meglio nelle opere narrative e nei romanzi.
Questa poetica del divertimento non adombra la figura di Palazzeschi, che resta indubbiamente un poeta genuino, che ha contribuito in modo sostanziale per forza d’estro ed istintiva umanità al rinnovamento della poesia italiana, è testimonianza però della profonda crisi di valori del tempo, che si riflette anche nella poesia e ne evidenzia il bisogno ormai di nuovi slanci e di nuovi canoni poetici. 

Eduardo Terrana
Saggista e conferenziere internazionale su diritti umani e pace
Tutti i diritti riservati all’autore



 

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mercoledì 20 novembre 2019

QUEGLI OCCHI SPENTI ALLA LUCE - QUEI CORPI STRAPPATI ALLA VITA TRAFFICO DI ORGANI DELITTO CONTRO LA PERSONA di Eduardo Terrana




QUEGLI OCCHI SPENTI ALLA LUCE
QUEI CORPI STRAPPATI ALLA VITA
TRAFFICO DI ORGANI DELITTO CONTRO LA PERSONA


di Eduardo Terrana


Ci sono realtà che non si ha piacere di conoscere, ci sono storie che non si ha voglia di leggere, e posso anche comprenderlo, perché sono le realtà e le storie delle aberrazioni, delle efferatezze, perpetrate da gente senza scrupoli sulla persona umana che si preferisce ignorare perché disturbano la sensibilità, perché si è di norma portati a non accettare l’idea che l’essere umano possa volere e praticare il male al proprio simile, ma ciò è esattamente quanto succede in molte parti del mondo.
E quello che sgomenta è che il bersaglio di queste squallide e tragiche azioni sono sempre più spesso i bambini, in particolare quelli che sono più indifesi, che vivono la loro giornata per strada o nelle capanne di fango delle bidonvilles, rimediate dai loro genitori, quando ci sono, per ripararsi dalle intemperie in uno spazio di pochi metri quadrati, privi di tutto tranne che della miseria.
Sono questi bambini, che giocano nel fango, che mangiano se e quando, che bevono l’acqua sporca dei pantani intrisa dei rifiuti e delle tossicità più impensabili, la caccia preferita dei mercanti predatori d’organi che li rapiscono, strappandoli con violenza anche dalle braccia delle loro mamme, oppure li comprano per pochi centesimi di euro, ma che al cambio vale qualche migliaio della loro povera moneta, carpendo la buona fede delle loro mamme, per destinarli al turpe mercato dei trapianti. Un mercato che frutta ottimi guadagni, oltre un miliardo e mezzo di dollari annui, si stima, e che è in espansione.

E così soprattutto i piccoli, poveri, emarginati, bambini vengono catturati per poi essere uccisi dopo essere stati spogliati dei loro organi.
Il traffico d’organi è una cruda amara realtà molto preoccupante. Due sono i canali attraverso cui avviene il mercato illecito.
Il primo registra l’uccisione o il sequestro violento della persona per prelevare organi e tessuti da vendere. In tale fattispecie prevale esclusivamente l’uso della forza. La vittima preferita normalmente è il bambino di strada.
E’ una realtà agghiacciante quella che lascia intravedere il tragico mondo del traffico di organi di bambini che si consuma tra omertà e miseria indicibile. Soffermiamo la nostra attenzione a due casi limiti. che riguardano bambini di età compresa fra i 4 e i 15 anni che vengono usati come pezzi di ricambio per poi essere buttati per strada o nei fossati e divenire pasto degli animali randagi. Succede in Afghanistan ma anche in Mozambico, in particolare nell’area di Nampula – Nanialo - Nacala, dove secondo fonti non ufficiali ma attendibili, sarebbero scomparsi e non sempre ritrovati il 75% dei bambini di strada, tutti mutilati degli occhi e degli organi interni e in qualche caso anche del cervello. Il fenomeno del rapimento e della uccisione di minori a fini illeciti, però, lo ricordiamo, presenta ambientamenti, connotazioni e sfaccettature molto più estese.
Il secondo canale si riferisce all’espianto di organi dietro pagamento di denaro. Nella fattispecie persone povere, spinte dalla disperazione, vendono per pochi soldi un loro organo.
India, Nepal, Pakistan, Cina, Colombia, Argentina, Messico, Brasile, Sud Africa, Thailandia, Filippine, Russia, Iraq, Afganistan, Palestina, sono i Paesi dove il fenomeno del traffico illegale di organi risulta essere più diffuso, ma il fenomeno va molto al di là di quanto si possa immaginare, non ne sono esenti, sembra, neanche i Paesi ad alta civilizzazione.
Evidenziamo in particolare che in Nepal la gente dei villaggi fortemente indebitata e il gran numero di vedove disperate costituiscono i serbatoi più ricchi di questo commercio; in Brasile ed in Perù è fiorente l’attività di trapianto clandestino; in Cina, in Iran, in Arabia Saudita e in Giappone la compravendita di organi tra vivi è stata legalizzata. Un quadro veramente scandaloso. Per non parlare dei casi in cui vengono messi al mondo bambini solo per destinarli al mercato degli organi.
Si specula solo e sempre più sulla disperazione e sull’impotenza della povera gente. E il fenomeno cresce e moltiplica i guadagni degli sfruttatori in sprezzo degli allarmanti appelli dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e di tutte le più importanti associazioni mediche del mondo e delle norme internazionali in materia di diritti umani che condannano quelle pratiche perché costituiscono una grave violazione dei diritti dell’essere umano.
Non ci sono parole e non ci sono neanche soluzioni destinate a risolvere totalmente il problema anche perché dove c’è domanda c’è mercato e gli affari illeciti prosperano perché i compratori non mancano e sono la gente ricca disposta a comprarsi, anche pagando decine di migliaia di dollari, una seconda occasione di vita.

Si pensi che in alcuni paesi come India, Brasile, Pakistan e Cina è così semplice trovare un rene che si sta assistendo ad un crollo dei prezzi. Si consideri altresì che nella sola Europa ci sono oltre 120 mila pazienti in dialisi e circa 40 mila in attesa di un trapianto non facilmente disponibile, e tutti in lista d’attesa, anche per anni.
Non è difficile immaginare che chi se lo può permettere cerchi la soluzione al mercato clandestino di organi che offre di tutto reni, fegati, cuori e presidi ospedalieri illegali, gestiti da organizzazioni criminali internazionali. Trattasi di persone disperate che pensano solo a risolvere il loro problema e non vogliono porsi il problema morale e legale della provenienza di ciò che compra. Eppure molti di quegli organi, tra l’altro, vengono anche dall’Africa espiantati dal corpo di migranti rapiti ed uccisi in Etiopia, Eritrea, Sudan, Somalia.

In cifre il traffico di organi, secondo il Global Financial Integrity, uno dei massimi Centri di analisi mondiali sui flussi finanziari illeciti, registra numeri impressionanti:
il business annuale del traffico illegale di organi nel mondo varia da un minimo di 700 milioni ad un massimo di 1,4 miliardi di dollari; ogni anno vengono praticati circa 12.000 trapianti illegali nel mondo a fronte di 118.000 trapianti legali;
il guadagno di un trafficante che vende un organo al mercato nero è di circa 15.000 dollari; il valore medio della cifra di riscatto da pagare per un rapito varia da un minimo di 5.000 dollari ad un massimo di 14.000 dollari.
Non v’è dubbio che nella mappa dei problemi più urgenti da affrontare e risolvere quella del traffico d’organi in generale ma dei minori in particolare costituisce l’emergenza per antonomasia, che denuncia una relativa verità incontestabile e cioè che i bambini non costituiscono ancora una priorità per i governi del mondo.
E così i bambini continuano a rimanere un esercito di piccoli esclusi, per i quali sicurezza, crescita, sanità, scuola, protezione dalle forme più degradanti ed avvilenti di sfruttamento anche sessuale, restano problemi aperti ed insoluti.

Vale allora ricordare ai tanti che governano le sorti del mondo, ma che in tema di bambini mostrano di essere miopi o di corta o labile memoria, le parole del premio Nobel per la Pace Betty William: “L’unico strumento che abbiamo per cambiare il mondo sono i bambini e le donne. La più grande impresa della mia vita non è stata vincere il Nobel ma crescere i miei figli.”

Eduardo Terrana
Saggista e Conferenziere internazionale su diritti umani e pace
Tutti i diritti riservati all’autore



PUGLIA D'AMARE
QUOTIDIANO D'INFORMAZIONE

-REGIONALE NAZIONALE ESTERO-


lunedì 21 ottobre 2019

“DUE CHITARRE IN FAMIGLIA”

“DUE CHITARRE IN FAMIGLIA”

Maria e Giusy De Pasquale
si raccontano a Bari

 

 

L’associazione culturale ’50 e più’ presenta:
“DUE CHITARRE IN FAMIGLIA”
Maria e Giusy De pasquale si raccontano



Giovedì, 24 ottobre 2019
presso Associazione Hamadeus Piazza Umberto I, 43
– Bari –
ore 16,30


Presenta Celestina Carofiglio, scrittrice


Intervengono: Piero Fabris poeta-pittore,
Domenico Semisa musicologo,
Diana Palieri docente,
Milena De Lavoro dott.ssa

Progetto Grafico e comunicazione di Cresy Crescenza Caradonna
Puglia d’amare Quotidiano d’Informazione
#CresyComunicazioni #pugliadaamareonline

venerdì 13 settembre 2019

"IL FUTURO E LA GRANDE SFIDA SUI DIRITTI UMANI" di Eduardo Terrana





 

INVIATE GLI ARTICOLI PER LA PUBBLICAZIONE:


pugliadaamareonline@gmail.com

IL FUTURO E LA GRANDE SFIDA SUI DIRITTI UMANI                                                    
di Eduardo Terrana

La promozione integrale di tutte  le categorie dei diritti umani è la vera garanzia del pieno rispetto di ogni singolo diritto. La difesa dell’universalità e della indivisibilità dei diritti umani, altresì,  è essenziale per la costruzione di una società pacifica e per lo sviluppo integrale di individui, popoli e Nazioni.

La realtà del mondo però  sempre più evidenzia che queste affermazioni sono rimasti meri principi e che la loro realizzazione è ferma davanti al deserto degli egoismi che ne ostacola il diritto di esistere.

Parliamo allora di crisi dei diritti umani, che è,  al fondo, una crisi di diritti esasperati e dissociati dai valori e quindi dissociati dai doveri, che sempre corrispondono ai diritti.

E’ la crisi di una cultura che ha vivissima la consapevolezza dei diritti dell’uomo, che è più  che mai  decisa a rivendicarli, ma che ha represso la verità fondamentale che la società, la quale dovrebbe godere dei diritti è “Una e La Stessa” con la società che deve realizzare i medesimi diritti. Ora se questa seconda società non esiste, in quanto i suoi membri non sono disposti a investire il quantitativo necessario di energie fisiche, intellettuali, morali, neanche la prima può esistere.

Libertà e sicurezza sociale sono solo per quelle società le quali riconoscono che la     “ Libertà da “, sulla quale insisteva l’Illuminismo, ha senso e reca frutto solo se congiunta con la “ Libertà per”, cioè per i valori che fanno umana, nelle sue varie dimensioni, la convivenza degli uomini al di dentro dei confini di uno Stato.

Ora l’imperativo morale è precisamente il vincolo che congiunge la libertà al mondo dei valori. Senza il diritto non può esistere una società fatta a misura della dignità dell’essere umano. Prima del diritto, però, e a garanzia di esso sta la legge morale, cioè sta la Persona nel suo statuto ontologico di essere morale. La Persona che fonda lo Stato è anche l’operatore insostituibile di un ordinamento, di cui, come recita        l’ Enciclica Pacem in Terris: “ fondamento è la verità, misura e obiettivo la giustizia, forza propulsiva l’amore, metodo di attuazione la libertà”. Ciò che vale a dire: lo stato dei diritti umani nel significato più vero del termine.

La tensione ideale di ogni coscienza dei diritti e della dignità umana deve pertanto tornare ad avere  ed a trovare un approdo: i valori.

Il futuro deve percorrere questa strada. Una strada in cui alle parole ed alle dichiarazioni corrisponda il riconoscimento del primato ontologico della Persona sulla Società, dei doveri sui diritti. Una strada  in cui si affermi il principio della non violenza e della non discriminazione, che significa rispetto della Persona e della sua personalità, significa uguaglianza di opportunità, significa accettazione delle diversità, nel senso e nel rispetto del primo paragrafo della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, che afferma  “  il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia e dei loro diritti uguali ed inalienabili”; dell’articolo tre della stessa Dichiarazione sui diritti dei portatori di handicap che sancisce “ il portatore di handicap ha un diritto connaturato al rispetto della sua dignità umana. Il portatore di handicap, quali che siano l’origine,la natura e la gravità delle sue difficoltà e deficienze, ha gli stessi diritti fondamentali dei suoi concittadini di pari età, il che comporta come primo e principale diritto quello di fruire, nella maggiore misura possibile, di un’esistenza dignitosa altrettanto ricca e normale”; dell’articolo ventitre della Convenzione internazionale su diritti  del Fanciullo che afferma che  “  i fanciulli mentalmente o fisicamente handicappati devono condurre una vita piena e decente, in condizioni  che garantiscano la loro dignità, favoriscano la loro autonomia e agevolino una loro attiva partecipazione alla vita della comunità.”

Questa dignità va riaffermata come fondamentale della Persona ma con il rifiuto e la messa al bando di tutte quelle situazioni negative che non prevedono la tutela della Persona umana nelle sue condizioni materiali, nelle sue condizioni morali nonché nel processo di integrazione dell’individuo nella società propria ed altrui. Va riaffermata con la messa bando e la repressione, altresì, di tutte quelle situazioni di tensione di varia natura: politica, sociale, religiosa, ancora esistenti in singoli paesi o in determinate aree geografiche che attentano ai fondamentali diritti umani aggredendo la vita, l’integrità fisica e la libertà di Persone pacifiche ed inermi, in modo indiscriminato ed in diverse forme: stragi, esecuzioni sommarie, ferimenti, cattura e detenzione di ostaggi, dirottamenti di aerei civili. Va ricercata  ed attuata la protezione giuridica della persona sempre con la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio, con la lotta alla tortura,  con l’abolizione ed il divieto della schiavitù e della tratta, con la repressione del terrorismo, con il rifiuto di tutte le discriminazioni tra i popoli.

Il futuro dell’impegno internazionale sui diritti umani ci si presenta dunque davanti come una “grande sfida”, perché i diritti umani costituiscono ancora oggi il paradigma mediante il quale verificare d’ora in avanti la qualità dei sistemi sociali, politici, economici,  all’interno ed all’esterno degli Stati nazionali.

Si impone, pertanto, urgente riattualizzare il dibattito sul tema, al quale la “Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo”, documento di eccezionale valore intellettuale e morale, ha dato un apporto fondamentale.

Il processo che è’ stato messo in moto non può e non deve avere sosta. Si stanno facendo strada nuove generazioni di diritti umani. Dopo quelli ricordati, detti della prima e della seconda generazione, ci troviamo ormai di fronte a quella che viene indicata come la terza generazione dei diritti umani. Si tratta  dei cosidetti “ diritti di solidarietà”, che pongono accanto al diritto della Persona il diritto dei popoli. E’ questa una materia ancora giuridicamente controversa, ma non tanto da negare evoluzioni e progressive affermazioni che si sono ormai saldamente consolidate. Nessuno pone oggi in discussione il diritto dei popoli all’autodeterminazione, mentre tra le altre categorie: il diritto alla pace, il diritto all’ambiente, il diritto allo sviluppo, ricche di contenuto e di carica propulsiva,  si stanno gradualmente aprendo un varco  ed appaiono come le novità emergenti.

Diritti umani e pace sono inscindibili, come lo sono pace e sviluppo. Il diritto alla vita postula la pace. Se non c’è vita non c’è neppure il presupposto per la realizzazione di alcun altro diritto umano. Ma la pace non è ancora un diritto formalmente riconosciuto all’interno di una norma giuridica. E’, come dire, un diritto in cantiere la cui costruzione dipende dalla ricerca e dalla educazione alla pace.

Un  altro diritto va rilevato , quello della Umanità alla conservazione della specie. Diritto che mette in risalto la figura e la funzione della Donna, genitrice per antonomasia, che è sempre un valore. Basti in proposito pensare a quanto la scienza oggi è in grado di operare sullo stesso concepimento dell’uomo per darsi conto delle nuove problematiche, per taluni aspetti sconvolgenti, vedi la clonazione, che si impongono e rendono necessaria la ricerca di un nuovo equilibrio con il rispetto dei valori fondamentali della Persona umana.

La tutela dei diritti dell’uomo e dei popoli non può avere ulteriori ristretti e/o sfumati confini. La sfida che ne discende deve pertanto caricarsi di una assiologia umano centrica sulla base di un paradigma universale, interrogarsi sulle sue finalità, rivisitarsi nei suoi programmi, per la promozione della Persona e lo sviluppo di tutti i popoli, nel rispetto delle specifiche identità culturali  e deve essere sorretto da un intendimento morale per realizzare il vero bene del genere umano.

Bisogna allora  uscire dal deserto degli egoismi e della  schiavitù del male perché queste affermazioni possano effettivamente realizzarsi, perché si possa edificare la dignità umana,  a cominciare dai più poveri e dai più deboli, fornendo ad ogni abitante della terra quel minimo benessere che consenta di vivere in libertà, non mancando dell’indispensabile per sostenere la famiglia, educare i figli e sviluppare le proprie capacità umane. 

Eduardo Terrana

(Conferenziere internazionale sui diritti umani)
                                            

giovedì 12 settembre 2019

83esima Campionaria barese FIERA DEL LEVANTE di Crescenza Caradonna

83esima Campionaria barese
FIERA DEL LEVANTE

di Crescenza Caradonna

PUGLIA D'AMARE
QUOTIDIANO D'INFORMAZIONE
 




La 83esima Campionaria barese aprirà i battenti dal 14 al 22 settembre sotto il tema: “Dove pulsano le idee”.
Il logo: un cuore da cui si propagano fasci di luce che avvolgono e producono energia buona e pulita.
Il presidente di Nuova Fiera del Levante è Alessandro Ambrosi.


Il costo di ingresso all’83^ Campionaria Generale Internazionale sarà di soli €3,00 ma avranno diritto a uno sconto del 50%: gli over 65, previa esibizione di un documento di riconoscimento
coloro che si serviranno del servizio Park&Ride.


Potranno entrare gratuitamente coloro i quali saranno muniti di bicicletta, parcheggiandola nel preposto parcheggio gratuito (non custodito); le persone disabili e i loro rispettivi accompagnatori; i bambini al di sotto dei sei anni e/o del metro di altezza.

Durante i giorni della Campionaria si potranno non solo visitare i padiglioni ma avere accesso a tutti gli eventi, gli spettacoli e le mostre dal 14 al 22 settembre all’interno della Fiera del Levante.









Sarà l’installazione collettiva “Terra al cubo – noixnoixnoi” a inaugurare, presso la Camera di Commercio di Bari, venerdì 13 settembre 2019 alle ore 19.30, il Fuori Salone #nonabbiamounpianetaB della 83^ Campionaria Generale Internazionale, che quest’anno pone al centro dell’attenzione il tema della sostenibilità ambientale, economica e sociale e del futuro del Pianeta.

Saranno diciotto artisti a dar vita a “Terra al cubo – noixnoixnoi”. Ciascuno di loro lo farà avendo a disposizione un metro cubo per la propria opera.

La mostra sarà aperta al pubblico fino al 22 settembre.



PROGRAMMA FIERA

14 settembre 

Dalle ore 20.00 Notte delle attrazioni internazionali con “Il Carillon vivente” e le “Note di luci” di Mariano Light. (Spazio fontana monumentale)

15 settembre 

Il Carillon Vivente”, attrazione itinerante tra i viali della Fiera del Levante a partire dalle ore 17.30. Sono previste due repliche.

Ore 19.45 “Note di luci”, grande spettacolo di luminarie e musica di Mariano Light. Sono previste quattro repliche. (Spazio fontana monumentale)

Ore 20.30 Alessandro Greco LIVE (Spazio palco)

16 settembre

Ore 19.45 “Note di luci”, grande spettacolo di luminarie e musica di Mariano Light. Sono previste quattro repliche. (Spazio fontana monumentale)

Ore 20.30 Nessuna Pretesa LIVE (spazio palco)

17 settembre 

Ore 17.00  Andreanne Thiboutot in “HOOPELAI”, attrazione itinerante tra i viali del quartiere. E’ prevista una replica dello spettacolo.

Ore 19.45 “Note di luci”, grande spettacolo di luminarie e musica di Mariano Light. Sono previste quattro repliche. (Spazio fontana monumentale)

18 settembre

Ore 17.00  Andreanne Thiboutot in “HOOPELAI”, attrazione itinerante internazionale tra i viali del quartiere. Sono previste due repliche dello spettacolo.

Ore 19.45  “Note di luci”, grande spettacolo di luminarie e musica di Mariano Light. Sono previste quattro repliche. (Spazio fontana monumentale)

Ore 20.30 La notte del trasformismo con Michele Tomatis Show (spazio palco)

19 settembre

Ore 17.00 –  Francisco Rojas in “La ruota misteriosa”, attrazione internazionale itinerante tra i viali del quartiere. Sono previste due repliche dello spettacolo.

Ore 19.45  “Note di luci”, grande spettacolo di luminarie e musica di Mariano Light. Sono previste quattro repliche. (Spazio fontana monumentale)

20 settembre

Ore 17.00 –  Francisco Rojas in “La ruota misteriosa”, attrazione internazionale itinerante tra i viali del quartiere. Sono previste due repliche dello spettacolo.

Ore 20.00 “Note di luci”, grande spettacolo di luminarie e musica di Mariano Light. Sono previste quattro repliche. (Spazio fontana monumentale)

21 settembre

Ore 18.00 Direttamente dal “Salone delle Meraviglie” in onda su Real Time, Federico Fashion Style incontra il suo pubblico. (Spazio palco)

Ore 19.45 “Note di luci”, grande spettacolo di luminarie e musica di Mariano Light. Sono previste quattro repliche. (spazio fontana monumentale)

Ore 20.30 “Magicomio” conFrancesco Scimemi (spazio palco)


22 settembre

Ore 19.45 “Note di luci”, grande spettacolo di luminarie e musica di Mariano Light. Sono previste quattro repliche. (Spazio fontana monumentale)

Ore 20.30 Gran Finale con Emilio Solfrizzi e Antonio Stornaiolo (spazio palco)




mercoledì 11 settembre 2019

EUGENIO MONTALE E IL MALE DI VIVERE di Eduardo Terrana



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EUGENIO MONTALE E IL MALE DI VIVERE



   La poesia del Poeta interprete della crisi spirituale dell’uomo moderno e della visione pessimistica e desolata della vita del nostro tempo.

Di Eduardo Terrana


Ricorre oggi, 12 settembre, l’anniversario di morte di un grande poeta e scrittore tra i più rappresentativi del novecento letterario italiano, Eugenio Montale. Nato a Genova il 12 ottobre 1896 e morto a  Milano il  12 settembre 1981, Montale ha svolto la professione di giornalista. Nel 1967 è  nominato a senatore a vita e nel 1975 arriva il riconoscimento alla sua statura di poeta con il conferimento del  premio Nobel per la letteratura, dopo che le Università di Milano e di Torino gli avevano conferito, per meriti letterari, la “laurea honoris causa”. E’ stato, tra l’altro, insignito delle onorificenze  di Grande ufficiale dell'Ordine al merito della Repubblica italiana, nel 1961, e di Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine al merito della Repubblica italiana, nel 1965.

Montale Inizia nel 1925 la sua attività di critico artistico e letterario. La sua prima raccolta di poesie “ Ossi di seppia“ è del 1926, un anno che rappresenta un momento importante nella vita del Poeta perché lo vede collaboratore de “ Il Baretti “, la rivista di Piero Gobetti, e firmatario de” Il Manifesto degli intellettuali antifascisti”  di Giovanni Amendola e Benedetto Croce.

Conosce anche il letterato triestino Roberto Bazlen che lo introduce alla lettura e conoscenza delle opere dello scrittore  Italo Svevo, del quale  Montale approfondirà la conoscenza letteraria e sul quale scriverà numerosi articoli,  così scoprendone, da critico, il valore letterario e diffondendone l’opera .

Altro momento importante della vita del Montale sono gli anni tra il 1927 ed il 1937 e la sua permanenza a Firenze  caratterizzati da una straordinaria intensità di rapporti umani e culturali. A  Firenze conosce tra gli altri Elio Vittorini, Carlo Emilio Gadda, Salvatore Quasimodo, Guido Piovene e i critici Giuseppe De Robertis e Gianfranco Contini, che si radunano tutti al caffè “ Le Giubbe Rosse “.

Nel periodo collabora alle riviste “ Solaria “ di Carocci, Ferrara e Bonsanti, e “Pegaso” di Ojetti, Pancrazi e De Robertis.

“I vent’anni vissuti a Firenze”, scriverà Montale:  “ sono stati i più importanti della mia vita. Lì ho scoperto che non c’è soltanto il mare ma anche la terraferma; la terraferma della cultura, delle idee, della tradizione, dell’umanesimo. Vi ho trovato una natura diversa, compenetrata nel lavoro e nel pensiero dell’uomo. Vi ho compreso che cosa è stata, che cosa può essere una civiltà.”
Firenze segna una svolta anche nella vita sentimentale del poeta. Vi conosce infatti Drusilla Tanzi, moglie del critico d’arte Matteo Marangoni, che corteggia, ricambiato, e che diverrà in seguito sua moglie. Drusilla sarà la moglie,  ma altra donna sarà la sua  vera musa ispiratrice , una donna sulla quale Montale per l’intero arco della sua vita manterrà il più stretto riserbo  ed il cui nome sarà rivelato un anno dopo la morte del poeta dal critico Luciano Rebay . Si  tratta di Irma Brandeis ,
appartenente ad una delle famiglie più illustri di ebrei mitteleuropei  emigrati in America, che il poeta canterà nelle sue liriche col nome poetico di “Clizia”.

Quella di Montale è’ una poesia che, nel solco della letteratura decadente, ricerca: il senso della vita e un rapporto razionale tra le cose e gli eventi , che trova però solo   “una muraglia”, come dice il poeta, ”irta di cocci aguzzi di bottiglia”, che impedisce la conoscenza della realtà.

Una poesia che ricerca: il vuoto, che è intorno ad ogni individuo e la solitudine, compagna inseparabile, che ne caratterizza l’esistenza: l’alienazione, l’impossibilità di comunicare, l’indecifrabilità del reale.
Sono questi i contrassegni  della crisi dell’uomo moderno, del suo  male di vivere, della sua  totale negatività di essere, di cui Montale è interamente e drammaticamente interprete partecipe. Tale visione radicalmente negativa dell’essere domina in Montale sin dalle più antiche poesie degli “Ossi.”

Una visione negativa, tutta interiore e capace , tuttavia, di proiettare anche al di fuori, sul mondo dei fenomeni e delle apparenze, i sintomi di uno strisciante male e di un’intima, struggente, non-voglia di vivere.

E’ una poesia che si alimenta della scoperta dell’assurdità del reale e del rovesciamento delle certezze e che vuole essere una risposta tipicamente borghese al malessere dei tempi. Una poesia lontana dall’idea dannunziana del poeta-vate, che non ha quindi messaggi-verità da comunicare e che  parte dall’intuizione della fondamentale insussistenza del mondo; un’insussistenza  che è innanzitutto ontologica, che coinvolge anche l’io, e che nasce dalla constatazione che le cose non hanno consistenza ed il tutto è solo rappresentazione.
E la mancata scoperta del significato delle cose porta il poeta a negarle. Ecco allora che inizialmente  domina in Montale quella che lui stesso ha definito “la poetica del non “. Perciò egli scrive “ non domandarci la formula che mondi possa aprirti”, ossia la parola magica e  chiarificatrice, che possa dare delle certezze.”  L’unica cosa certa che egli si sente di dire si legge nei versi: “codesto solo oggi possiamo dirti - Ciò che non siamo - ciò che non vogliamo”, ossia gli aspetti negativi della vita.
Montale non è disponibile ad illusioni idealistiche, ossia a vedere il  mondo come rappresentazione dell’io,  e non crede neppure all’oggettività naturalistica del mondo.
Nella poesia di Montale il “Vero Assoluto”, rappresentato da Dio oppure, per l’agnostico, dal “Nulla”,  resta lontano ed inimitabile.
Rispetto ad esso l’uomo resta in una condizione di fondamentale ignoranza, perciò Montale si serve di un linguaggio anche modesto per esprimere  la sua poesia sentita  come acquisizione di uno spazio di silenzio e di libertà, come condizione al manifestarsi miracoloso di un improvviso “varco” verso il significato del tutto.
E il varco, che il poeta non rinuncia a ricercare, attraverso cui  giungere a comprendere il senso della vita individuale e cosmica, è rappresentato dall’inaspettata possibilità di essere posti oltre l’apparenza, verso quel quid definitivo che rappresenta l’approdo a qualcosa di più vero e duraturo dell’apparenza. Perciò la poesia del Montale esprime  la possibilità del miracolo, l’attesa di una epifania del senso ultimo delle cose.


In tale visione,  Il male ed il dolore, (vedi  poesia: Felicità raggiunta, si cammina),  hanno per Montale un’incidenza sulle vicende umane  che rimane irredenta se non avviene il miracolo di un fatto veramente positivo. La felicità è uno stato assolutamente precario sempre sul punto di dissolversi. E quand’anche l’individuo riesca a raggiungerla, essa non ha la facoltà di redimere ed annullare il passato.
Non c’è nella poesia di Montale sfogo sentimentale; non ricorre  in essa la protesta , la polemica e  gli accenti, ma c’è il male di vivere, oltre il quale s’intravede l’anelito alla libertà; come c’è  un’irruzione della storia, nella quale il poeta cerca “ Il varco “ per sé e per gli altri.
C’è il coraggio morale  di guardare le cose “a ciglio asciutto”,  come scrive  il poeta, cioè  senza speranze, né illusioni; di porsi contro il mito del poeta-vate: D’Annunzio, ma anche Carducci ed in parte  Pascoli;  di porsi,  come una bandiera, alla faciloneria, alla retorica e soprattutto all’ottimismo idiota del regime fascista , che si manifesta  contro l’uomo e contro la cultura.
Montale non è un creatore di parole che non hanno senso e quindi non comunicano altro che il nulla, ma è l’interprete dei dati reali considerati segnali-simbolo per decifrare la realtà.
Ogni paesaggio ed ogni oggetto è visto da Montale contemporaneamente nel suo aspetto fisico e nel suo aspetto metafisico, nel suo essere cosa ed insieme simbolo della condizione umana di dolore e di ansia. L’originalità perciò del suo poetare  sta proprio nell’uso della tecnica del correlativo - oggettivo, consistente nell’intuizione di un rapporto tra situazioni ed oggetti esterni ed il mondo interiore,  che domina la sua poesia, nel senso che  una serie di oggetti , di situazioni, di occasioni, diventano la formula di determinati stati emotivi,  della cui più intima ratio solo il poeta ne ha perfetta consapevolezza.
In tal modo il sentimento non è espresso ma rappresentato da un oggetto ad esso correlato.
In tale accezione la poesia è idea, memoria, e l’essenza delle cose è colta in negativo; e l’uomo è come smarrito nel caos del mondo dove cerca se stesso.
Tale consapevolezza dà al poeta il coraggio di rinunziare ad ogni illusione, di ripiegarsi su se stesso e di accettare il male di vivere e la sua condizione di uomo isolato che vive la sua solitudine.
Sono questi, in breve, gli aspetti significativi della poesia di Montale, dove la negatività domina, oscillando tra la constatazione del male di vivere e la speranza, vana, ma sempre presente e risorgente, del suo superamento,  e di cui è  una prima testimonianza la lirica “Non chiederci la parola” nella quale Montale precisa le motivazioni morali della sua poetica che non evade dalla realtà storica del momento, caratterizzata da un profondo vuoto morale e spirituale, ed invita pertanto a  guardare alla realtà senza chiedere  parole consolatorie alla poesia, che altro non può dare se non, come recita il verso,  “qualche storta sillaba e secca come un ramo”, ovvero che  la realtà va detta e rappresentata senza infingimenti.
La lirica testimonia la crisi spirituale  dell’uomo moderno, povero di un fondamento solido su cui edificare la vita di un senso trascendente.



La negatività vi è rappresentata in termini dialettici e non assoluti, tesa al positivo e non nichilista, anzi aperta a possibilità di soluzioni positive per il domani.

Nella lirica Montale esprime l’affermazione della propria indipendenza morale nonché l’accettazione del male di vivere.

Montale ha lasciato l’eredità della sua produzione lirica in varie  raccolte poetiche, ricordiamo in particolare, “ Ossi di seppia”  del 1926, “ Le occasioni” del 1939, “ La Bufera e altro” del 1956, Satura del 1971.

Negli “Ossi di Seppia”  Montale evidenzia la volontà di staccarsi dalla precedente tradizione aulica-accademica, carica di toni retorici, per affermare una poesia di timbro familiare.

Dice lo stesso Montale, “Scrivendo il mio primo libro …volevo che la mia parola fosse più aderente di quella degli altri poeti che avevo conosciuto. Più aderente a che? Mi pareva di vivere sotto una campana di vetro, eppure sentivo  di essere vicino a qualcosa di essenziale. Un velo sottile, un filo appena mi separava dal quid definitivo. L’espressione assoluta sarebbe stata la rottura di quel velo, di quel filo: un’esplosione, la fine dell’inganno del mondo come rappresentazione”.

La coscienza, umile e saggia del proprio limite umano e poetico apre però alla  speranza di incontrare  “ qualcosa “ che dia senso al tutto.

Negli Ossi di Seppia è centrale la riflessione su di sé, l’autobiografismo, la proiezione di sé in un simbolo naturale, che fosse “il mare-fermentante” o “l’ombra”  stampata sul muro. Vi si ritrovano i temi della constatazione della solitudine dell’uomo, dell’inconoscibilità del reale, dell’aridità della vita, ed in tal senso è già una dichiarazione di poetica.

Vi si ritrova anche il paesaggio ligure aspro, dissecato, impervio, dove, alle Cinque Terre di Monterosso, il Poeta trascorse, nell’infanzia e nell’adolescenza, le vacanze estive, in mezzo a quella natura, di fronte a quel mare , che si configurano come i luoghi della sua prima poesia  e per cui scriverà il poeta: “Mi affascinava la solitudine di certe ore, di certi paesaggi.”

Il motivo di fondo della poesia di Montale  è la visione pessimistica e desolata della vita del nostro tempo, che vede il crollo degli ideali, per cui tutto appare oscuro, vuoto e senza senso. Di tanto è testimonianza la lirica “Meriggiare pallido e assorto”, dove il poeta ci conduce alla cosmica rappresentazione della vita come sofferenza, correlando a questa visione-rappresentazione emblematica del limite umano  tutto l’esteriore  panorama naturale.

La vita si configura così in Montale come una prigione rovesciata, che condanna all’esclusione di un “paradiso”. Vivere è per lui, come andare  lungo una muraglia che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia così impedendo di vedere cosa c’è al di là, ossia lo scopo ed il significato della vita.  Si colgono nella lirica i temi: del senso del mistero della vita, della solitudine esistenziale, del  dolore per un destino privo di felicità.
 Nella raccolta “Le  Occasioni” , si avverte la stessa visione tragica della vita  de  “Gli Ossi”,  ma vi si coglie anche il senso del colloquio a distanza con la salvifica ispiratrice, Clizia; dirà il poeta: “sullo sfondo di una guerra cosmica e terrestre, senza scopo e senza ragione, mi sono affidato a lei, donna o nube, angelo o procellaria”.
Nelle poesie della raccolta  Montale rievoca le  “occasioni”   della sua vita passata, amori, incontri, riflessioni su avvenimenti, paesaggi, ricordati non per nostalgia ma per analizzarle e capirle nel loro valore simbolico.

Il poeta sente  il bisogno insistente , ma deluso, di trovare il senso delle cose e della vita cercando nel mondo della memoria quella salvezza che la cieca negatività dell’esistenza vieta, ma scopre  che: una nebbia vela la memoria, ( lirica: “non recidere forbice quel volto”); il passato è irrevocabile, ( lirica: “la casa dei doganieri”); tutto è determinato dal caso; manca un filo logico nel rapporto tra le cose; il tempo scorre impietoso;  e la ricerca di un varco è vana.

Domina nella raccolta la tematica esistenziale anche se  già s’intravede la bufera, la minaccia prossima della guerra, che si avvicina.

Montale però, estraneo sempre alle mode, procede dritto per la sua strada.

Scriverà: “L’argomento della mia poesia , e credo di ogni possibile poesia, è la condizione umana in sé considerata, non questo o quell’avvenimento storico. Ciò non significa estraniarsi  da quanto avviene nel mondo; significa solo coscienza, volontà, di non scambiare l’essenziale col transitorio … Avendo sentito fin dalla nascita una totale disarmonia con la realtà che mi circonda, la materia della mia ispirazione non poteva essere che quella disarmonia. Non nego che il fascismo dapprima, la guerra più tardi, e la guerra civile più tardi ancora mi abbiano reso infelice; tuttavia esistevano in me le ragioni dell’infelicità che andavano molto di là e al di fuori di questi fenomeni.” Si comprende già  da ciò come il  tema del male di vivere  influenza anche  la raccolta “La Bufera ed Altro” ed influenzerà anche la raccolta “Satura”. Ciò delinea una caratteristica che è prettamente del Montale: quello di essere e di rimanere sempre e solo “Un uomo di pena”.

Il suo pessimismo assume in queste raccolte i connotati tragici della violenza, della follia, dell’atrocità, che sono purtroppo le caratteristiche costanti della storia.

Dunque il male di vivere dell’uomo è perpetuo, e la sua condizione è destinata a non mutare col trascorrere del tempo.

La memoria di Irma Brandeis, la poetica Clizia, l’angelica ispiratrice, illumina  la saggia ed amara ironia degli ultimi scritti del Poeta, che, nelle sue ultime raccolte si rivela  un vecchio saggio malinconico che rifiuta i miti della società del benessere , e, mentre riflette con  ironica pacatezza sulla insensatezza del mondo moderno,  s’intrattiene, con tono  colloquiale, con la moglie da poco perduta.

Per la sua tensione  continua  verso l’essenziale e l’assoluto, per la sua ontologica disarmonia, l’opera poetica di Eugenio Montale, vista in retrospettiva,   non può, che essere collocata  nel solco di una corrente di poesia non realistica, non romantica, e nemmeno strettamente decadente, accostabile solo al  metafisico. Montale ci lascia in eredità la sua coerenza e la sua poesia.



Eduardo Terrana

Conferenziere internazionale sui Diritti Umani

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